Nelle prime ore del 1° Ottobre
1950 veniva aggredito a Ciliverghe di Mazzano, in provincia di Brescia, il
missino Oreste Abate. Oreste Angelo Stefano Abate, questo il suo nome completo.
Era nato in questa piccola frazione il 18 Ottobre 1909. Fascista, combattente della
R.S.I., prigioniero nel campo di concentramento di Coltano (Pisa), ritornato a
casa era stato oggetto di continue discriminazioni, tanto che nessuno voleva
assumerlo. Costretto a condizioni di indigenza, aveva trovato nel costituendo
MSI una comunità di amore e di affetti. Entrato nel mirino degli antifascisti
per la sua fede politica mai rinnegata, aveva già subito una prima aggressione.
La notte del 1° Ottobre 1950, come abbiamo detto, cadde in un agguato. Tutto era
nato poche ore prima, il 30 Settembre, intorno alle 22,00, quando Abbate aveva
avuto un accesso diverbio con tale Orlando Tellaroni, militante del PCI di 19
anni, durante una partita di Morra (gioco vietato) nell’ osteria Piovanelli, in
via Conciliazione, a Ciliverghe. Abate, che stava vincendo, aveva scherzosamente
preso in giro il giovane comunista che, per tutta risposta, reagì brandendo una
sedia e scagliandosi contro l’avversario. Solo l’intervento di alcuni avventori
aveva evitato il peggio. Stante la pioggia, i due rimasero nei locali fino alle
2 del mattino. Tellaroni, però, non si era sentito soddisfatto della
conclusione della lite, tanto che era stato avvistato nei pressi
dell’abitazione del missino per chiudere, con spirito tutt’altro che pacifico
la discussione. La moglie di Abate, Amabile Bonini, venuta a conoscenza di
quanto stava accadendo proprio dalla voce del giovane comunista che sostava nei
pressi della sua abitazione, corse con degli amici a cercare il marito che,
rientrando a tarda ora a casa, era di
nuovo uscito. La donna riuscì a convincerlo a tornare immediatamente a casa e a
non far degenerare la situazione. Tuttavia, appena giunto nei pressi della sua
abitazione, il missino venne aggredito alle spalle, di sorpresa, dal Tellaroni che,
presa una grossa pietra, gli fracassò il cranio (la squamma del temporale e dell’occipitale
destro). Tuttavia, la ferita parve non grave. Abate, dopo un attimo di
sbandamento, parve riprendersi e venne portato a casa a letto. Solo vero le 11
del mattino fu chiara la situazione di estrema gravità in cui versava il
missino. Subito soccorso, Abate venne portato d’urgenza all’ ospedale civile di
Brescia, in Via Moretto n. 44. Morì dopo due giorni di agonia. Erano le 20,30
del 3 Ottobre 1950. Lasciava nell’indigenza una moglie e tre figli in
tenerissima età. I Carabinieri arrestarono la sera stessa dell’aggressione il
giovane comunista, ma la stampa cercò di depotenziare il fatto, confinandolo in
articoli di cronaca secondaria (cfr. assassinato dai comunisti un iscritto al
MSI, “Lotta Politica” a. II, n.42, 21 Ottobre 1950). L’omicidio fu subito
derubricato da volontario a preterintenzionale, in quanto secondo i Giudici,
non vi fu nel Tellaroni volontà omicida. Venne altresì esclusa la motivazione
politica, essendo i due, comunque, stati visti giocare insieme amichevolmente,
prima dello scoppio della lite. L’8 Marzo 1951, il giovane comunista fu
condannato a 10 anni di reclusione (di cui tre saranno poi condonati
dall’amnistia e l’indulto stabilito con DPR n. 922 del 19 Dicembre 1953). Sebbene
il delitto non fu politico l’eco della morte di Abate scosse la coscienza di
molti fascisti bresciani che, fino ad allora, avevano esitato a schierarsi per
timore di ritorsioni contro di loro e, soprattutto, le loro famiglie. Questo
ennesimo atto di violenza contro un missino fu la classica goccia che fede
traboccare il vaso: dopo il tragico evento, i fascisti della zona decisero di
passare all’azione e costituire ovunque fosse possibile sezione del MSI, “casa
comune” per difendersi dall’offensiva antifascista in atto (cfr. A. Baldoni, la
destra in Italia 1945-1969, Pantheon, 2000). Ad oltre cinque anni dalla fine
della guerra, il clima stava finalmente cambiando e all’orizzonte v’erano i
primi grandi successi del Movimento Sociale Italiano che, almeno fino al 1960,
misero all’angolo l’antifascismo comunista.
Pietro
Cappelari
Tratto
da “L’Ultima Crociata” N° 8 Novembre 2022
LA TOMBA DI ORESTE ABATE SI TROVA PRESSO IL CIMITERO DI CILIVERGHE DI MAZZANO
PER NON SCORDARLI MAI
ABATE ORESTE
ADOBATI PIETRO
ALFANO BEPPE
ALIBRANDI ALESSANDRO
ALIOTTI ANTONINO
ALVAREZ ALESSANDRO
ANSELMI FRANCESCO
ANTONELLI GIULIO
ASSIRELLI ORLANDO
AZZI NICO
BASSA ERMINIO
BIGONZETTI FRANCO
BILLI ACHILLE
BOCCACCIO IVAN
CALIGIANI ORIO
CALZOLARI ARMANDO
CANDURA PROSPERO
CAMPANELLA ANGELO
CECCHETTI STEFANO
CECCHIN FRANCESCO
CIAVATTA FRANCESCO
CRESCENZI RODOLFO
CRESCENZO ROBERTO
CROVACE "MAMMAROSA" RODOLFO
DE AGAZIO FRANCO
DE ANGELIS NANNI
DE NORA PAOLO
DI NELLA PAOLO
DISCALA ELIO
DI VITTORIO MARCO
DOMINICI BENVENUTO
ESPOSTI GIANCARLO
FALDUTO ANDREA
FALVELLA CARLO
FERRARI SILVIO
FERRAZZI ANDREA
FERRERO ENRICO
FERRI VITTORIO
GATTI FERRUCCIO
GHISALBERTI FELICE
GIAQUINTO ALBERTO
GIRALUCCI GRAZIANO
GIUDICI BRUNO
GRILZ ALMERIGO
JACONIS CARMINE
LABBATE BRUNO
LOCATELI "MICHELIN" FRANCO
LUPARA SERGIO
MACCIACCHINI EVA
MACCIO' DIEGO
MAGENES GIORGIO
MAINO ANTONIO
MANCIA ANGELO
MANFREDI RICCARDO
MANGIAMELI FRANCESCO
MANTAKAS MIKIS
MANZI LEONARDO
MASSAIA LEONARDO
MATTEI STEFANO
MATTEI VIRGILIO
MAZZOLA GIUSEPPE
MEGGIORIN CLAUDIO
MENEGHINI ENRICO
MINETTI RICCARDO
MONTANO SAVERIO
MORTARI I GINO
NARDI GIANNI
NIGRO FRANCESCO
PAGLIA FRANCESCO
PAGLIAI PIERLUIGI
PALLADINO CARMELO
PEDENOVI ENRICO
PETRUCCELLI MICHELE
PISTOLESI ANGELO
PONTECORVO ADRIANA
PRINCIPI PIETRO
RAMELLI SERGIO
RECCHIONI STEFANO
SABBADIN LINO
SANTOSTEFANO GIUSEPPE
SCARCELLA PINO
SCARPETTI ALDO
SCIOTTO PIERLUIGI
SPEDICATO WALTER
TANZI BRUNILDE
TRAVERSA MARTINO
TRENTIN STEFANO
VALE GIORGIO
VENTURINI UGO
VIVIRITO SALVATORE
ZAVADIL ANTONIO
ZAZZI EURO
ZICCHIERI MARIO
ZILLI EMANUELE
ZUCCHIERI MARZIO
MARIO TUTI nel
cinquantesimo anniversario della morte dei fratelli Mattei
Ci sono dei versi dal “mercoledì
delle ceneri” di Eliot che mi pare possano essere presi a epigrafe di questa
giornata dedicata al devoto e dolente ricordo del sacrificio di Virgilio e Stefano alla vicinanza dei loro
familiari e ai camerati di allora, poi che non spero più di ritornare queste
parole possano rispondere di ciò che fu fatto e ormai non si fa più e verso di
noi il giudizio non sia troppo severo e prego di poter dimenticare quelle cose
che troppo discuto con me stesso e troppo spiego ecco gli anni che passano in
mezzo fra cancelli inferiate e lungo esilio passano gli anni passati e nuovi
non ravvivano dove ritroveremo la parola e la coscienza, dove risuonerà la
parola e l’azione non qui che qui il silenzio assorda. O mio popolo cosa ti
hanno fatto il tempo giusto e il luogo giusto ecco sono qui e a te mio popolo
giunga il mio grido, un grido all’ora e una testimonianza a distanza di mezzo
secolo di quegli anni ancora segnati nella mia memoria dall’orrenda immagine di
Virginio Mattei avvolto nel fuoco mi ricordo lo sgomento nella sezione dl
M.S.I. di Empoli i commenti con i giovani camerati la lettura affannosa dei
giornali e poi la rabbia per le indegne provocazioni sulla stampa il volantino
di rivendicazione che diceva morte ai fascisti, poi vennero l’assoluzione e le
facili fughe dei colpevoli le complicità e le convivenze degli intellettuali,
giornalisti, politici che minimizzarono, mentirono, strumentalizzarono,
derisero. Mi ricordo ancora l’infame vignetta di Iacopo Fo e ancora altri morti
legai a quella storia come Mantakas e i camerati uccisi a Padova e ci fecero
comprendere quanto il nostro amore per questa terra e questo popolo fosse
diventato amaro, questo paese squallido comodo banale non sapeva che farcene
del nostro amore in noi cera troppo orgoglio troppe passioni troppa forza e ci
rifiutò perché per noi per l’ Italia pretendevamo di più pretendevamo il meglio
e cosa ancora più imperdonabile avevamo ragione! Ma oggi non è il momento delle
accuse e delle recriminazioni e il momento del compianto e del dolente ricordo
di Stefano e Virginio e del loro martirio ed è per questo che siamo qui oggi ma
per gli altri giorni dell’ anno il loro sacrificio e la sostale impunità dei
loro assassini e dei loro tanti favoreggiatore è un atto d’accusa che elevo
soprattutto a me stesso si e allora oggi batto il tamburo per i nostri morti e
a loro mi appello, la luce che portavano l’abbiamo fatta spengere e ci resta
solo oscurità cenere paura, a loro mi appello perché anche il mio cuore torni a
radere come un tempo, mi appello ai nostri camerati caduti coloro che scelsero
e si opposero e non vollero arrendersi come io allora scelsi e mi opposi,
mentre ora con l’avanzare degli anni e il declinare delle forze anche la
volontà e il cuore stanno venendo meno e non sono contento, non sono contento
per i loro carnefici senza punizione per la magistratura inerme per quei
politicanti che su di loro specularono e ancora speculano per i giornalisti che
ancora infangano la loro memoria non sono contento di me del mio essere
incapace di dare loro giustizia non sono contento di un ambiente perso tra
vanità e giustificazioni perso nelle
parole, per il resto dell’anno se il sacrificio dei fratelli Mattei non ci ha
dato la forza e il coraggio di continuare la loro lotta e di vendicarli ci dia
almeno la vergogna la penitenza per la nostra paura sperando allora che i
nostri camerati caduti abbiano pietà di noi e che il nostro spirito fragile
sappia finalmente ribellarsi il cuore perduto si rinsaldi e ritrovi la
sovranita potenza della lotta, gli anni passano e non vi è luogo di grazia per
coloro che solo parlano e non agiscano